Entro il 2050 l’approvvigionamento energetico svizzero sarà rivoluzionato: l’elettricità proveniente da fonti rinnovabili locali dovrebbe porre fine alla forte dipendenza da petrolio e gas esteri. La legge federale sull’energia e la legge sul clima e sull’innovazione costituiscono il quadro giuridico di riferimento. La Svizzera emette solo lo 0,075% circa dei gas serra globali. La straordinaria ricchezza di corsi d’acqua le consentirà di elettrificare il proprio sistema energetico e di affermarsi come precursore di un’economia più sostenibile. Anche multinazionali rossocrociate come Nestlé e Holcim svolgeranno un ruolo importante in questo contesto.
Con circa 42 megatonnellate di CO2 equivalente all’anno, la Svizzera produce attualmente meno dello 0,1% delle emissioni annue mondiali, pari a quasi 60 gigatonnellate (cfr. fig. 1).
Alle prospettive piuttosto pessimistiche sul futuro consumo di combustibili fossili si contrappone un quadro più ottimistico riguardo alla crescita degli investimenti globali nell’infrastruttura per la produzione di energie rinnovabili. Nell’ultimo decennio, essi hanno superato gli investimenti infrastrutturali legati all’energia fossile (cfr. fig. 2). In particolare la Cina ha contribuito a questo andamento.
Entro il 2050 la produzione di energia elettrica in Svizzera dovrebbe aumentare notevolmente, andando a sostituire la maggior parte del petrolio e del gas importati oggi. Non sono previste nuove centrali nucleari per rimpiazzare le quattro già esistenti sul territorio elvetico. Si punta sul potenziamento del fotovoltaico, dell’energia idroelettrica e dell’energia eolica, che in futuro dovrebbero coprire il fabbisogno di elettricità.
Secondo gli scenari elaborati dal fornitore Axpo, entro il 2050 il consumo annuo di elettricità in Svizzera aumenterà da circa 63 TWh (nel 2022) a 86 TWh (cfr. fig. 3). Un incremento di 23 TWh equivale all’incirca all’elettricità fornita ogni anno da dieci dighe delle dimensioni della Grande Dixence nel Vallese. La quantità di energia elettrica prodotta dai nuovi impianti fotovoltaici dovrebbe aumentare di circa 35 TWh all’anno entro il 2050. L’obiettivo è quello di sostituire l’energia nucleare che verrà probabilmente a mancare dal 2040 circa con quella fotovoltaica e con un moderato potenziamento dell’energia idroelettrica.
Se si vuole raggiungere l’obiettivo prefissato, è essenziale potenziare la rete. Gli impianti di produzione di energia solare ed eolica situati ad alta quota godono di un’esposizione ideale alla luce e al vento. Le tempistiche di realizzazione sono strette e le procedure di autorizzazione nonché il bilanciamento degli interessi tra industria energetica, tutela dell’ambiente naturale e popolazione residente sono complessi e richiedono molto tempo. Secondo un’analisi dell'AIE, la Svizzera è ancora troppo lenta nell’attuazione della sua strategia energetica, assolutamente realizzabile dal punto di vista tecnico ed economico.
Il fabbisogno energetico totale della Svizzera (attuale domanda di energia primaria: circa 260 TWh/anno) è oggi coperto per poco meno dell’80% da combustibili fossili (petrolio e gas) e quasi esclusivamente da importazioni. Il restante 20% è assicurato dalla produzione locale di elettricità. Tenendo conto del rendimento nettamente più elevato permesso dall’elettrificazione dell’approvvigionamento energetico e dei guadagni in termini di efficienza, il fabbisogno di energia primaria verrà all’incirca dimezzato (cfr. fig. 4). Pertanto, entro il 2050, la dipendenza dalle importazioni di energia primaria si ridurrà dagli attuali 200 TWh/anno a soli 35-60 TWh/anno.
Sull’intero anno, la quota di elettricità importata dalla Svizzera si limita a circa 1 TWh, ma d’inverno le importazioni aumentano a circa 3 TWh e d’estate le esportazioni si aggirano intorno a 2 TWh. Con il potenziamento della produzione elettrica entro il 2050, il fabbisogno di importazioni in inverno tenderà all’incirca a raddoppiare. A seconda dello scenario, intorno al 2040 – quando le ultime centrali nucleari svizzere verranno chiuse – potrebbero essere necessarie ulteriori importazioni di energia elettrica o altre centrali a gas e riserve idriche per garantire la sicurezza dell’approvvigionamento elettrico.
Holcim e Nestlé rientrano fra le più importanti imprese svizzere e, per via dei loro modelli aziendali, figurano tra i principali produttori di gas serra al mondo. Mentre il colosso dei materiali da costruzione è il maggior responsabile delle emissioni con 130 megatonnellate di CO2 equivalente, Nestlé segue al terzo posto (dietro ABB) con 92 megatonnellate di gas serra. Le loro emissioni cumulate sono cinque volte superiori a quelle dell’intera Svizzera. Per ridurle e raggiungere una produzione climaneutrale, Nestlé e Holcim hanno definito misure specifiche e obiettivi intermedi fino al 2050.
Presso Holcim, la maggior parte dei gas dannosi per il clima è imputabile alla produzione del cemento. Il cemento portland convenzionale è composto da calcare, argilla e vari altri additivi. Serve molta energia per macinare le materie prime e fonderle a oltre 1400 gradi Celsius per produrre il clinker. Inoltre il calcare rilascia CO2 durante la fusione. Holcim intende quindi ridurre gradualmente la percentuale di clinker nel cemento. Si utilizzeranno in misura crescente calcinacci riciclati, gesso e scisto bituminoso. Inoltre i forni saranno alimentati maggiormente con fanghi di depurazione, farine animali, olii esausti e plastiche, che rilasciano meno CO2 per unità termica rispetto al carbone o all’olio combustibile pesante.
... e punta sulla tecnologia CSS
Poiché Holcim rimarrà un’azienda produttrice di cemento, è impossibile che non emetta CO2. Il colosso ripone quindi grandi speranze nella tecnologia CSS, che consiste nella cattura e nello stoccaggio dell’anidride carbonica. In questo modo la CO2 rilasciata può essere imprigionata e immagazzinata nel sottosuolo, senza inquinare l’atmosfera. Entro il 2030 Holcim investirà a livello mondiale circa 2 mia. di CHF in questa tecnologia, puntando a una riduzione delle emissioni di circa il 44% a partire da tale data.
Nestlé intende ridurre notevolmente la produzione di gas metano...
Nella più grande azienda alimentare del mondo, un terzo delle emissioni è riconducibile ai prodotti agricoli di base. La produzione di latte e carne, ad esempio, genera grandi quantità di metano, particolarmente dannoso per il clima. Circa la metà del gas metano derivante dalla produzione di latte si forma nell’apparato digerente delle mucche. Una soluzione per ridurre le emissioni di metano dei bovini consiste negli additivi per mangimi. Con l’aiuto della scienza (è sceso in campo anche il Politecnico di Zurigo), sono stati sviluppati additivi in grado di ridurre fino all’80% la produzione di metano nello stomaco delle mucche.
... nonché ottimizzare la gestione delle mandrie e promuovere l’agroselvicoltura
Nestlé vede anche un grande potenziale di risparmio nell’aumento della produttività delle aziende attraverso l’ottimizzazione della gestione delle mandrie. In futuro si potrebbero ad esempio utilizzare robot di alimentazione che consentano alle mucche di mangiare quando più lo desiderano, con effetti benefici sulla loro salute e longevità. Nei primi due anni di vita le mucche non producono latte, ma emettono comunque metano. Pertanto, se gli animali vivono più a lungo, le emissioni di gas serra per litro di latte diminuiscono. Nestlé punta inoltre a convertire l’agricoltura convenzionale in agroselvicoltura, che combina elementi di agricoltura e allevamento con la selvicoltura. La fertilità del suolo ne beneficia e i cespugli di caffè e le piante di cacao crescono meglio all’ombra degli alberi. Questa tecnica favorisce anche la biodiversità. Nestlé sta quindi dando grande impulso alla riforestazione.
Sebbene il colosso alimentare punti a raggiungere la neutralità climatica solo tra circa 25 anni, una prima valutazione dei progressi compiuti con valori target misurabili avrà luogo tra poco più di cinque anni. Entro il 2030 Nestlé punta a dimezzare le emissioni registrate nel 2018 portandole a 46,2 megatonnellate di CO2 equivalente. Il gruppo ha reso noto questo obiettivo, obbligandosi a verificarne il raggiungimento.
Nonostante i miglioramenti perseguiti, nei prossimi anni sia Holcim che Nestlé saranno responsabili di ulteriori ingenti emissioni dannose per il clima. Molte speranze sono riposte in innovazioni scientifiche come la tecnologia CCS o gli additivi per mangimi che contribuiscono a ridurre le emissioni di metano negli allevamenti. Ma i piani climatici di Holcim e Nestlé sono più che semplici dichiarazioni d’intenti. Si basano infatti sulle direttive della Science Based Targets Initiative (SBTi), un’organizzazione che valuta gli obiettivi di riduzione delle aziende e verifica se siano compatibili con gli scenari scientifici per la lotta contro i cambiamenti climatici e allineati all’Accordo di Parigi sul clima. L’SBTi è ora considerata lo standard di riferimento per la verifica esterna degli obiettivi climatici e anche gli investitori prestano sempre più attenzione a questo marchio di qualità.